Vengono stesi i cavi sismici lungo la zona di interesse e ad essi vengono collegati i geofoni precedentemente infissi nel terreno alle equidistanze prestabilite. L’energizzazione del terreno per generare onde elastiche di compressione può essere effettuata sia mediante massa battente da 5-60 Kg che tramite l’utilizzo del cannone sismico (minibang): l’impatto rende operativo, tramite un accelerometro reso solidale con la fonte di energizzazione (trigger), il sistema di acquisizione dati, permettendo così la registrazione ai geofoni della forma d’onda rappresentativa della velocità di spostamento del suolo.
La produzione di onde di taglio viene effettuata ponendo una trave di legno a diretto contatto con il terreno in senso trasversale al profilo ed energizzando su entrambi i lati dopo averla adeguatamente caricata. Le registrazioni vengono effettuate alternativamente su entrambi i lati, mediante massa battente, e sommate con polarità scambiata in modo da migliorare l’individuazione dell’onda di taglio polarizzata orizzontalmente che viene generata.
Al fine di ottenere una migliore risoluzione della sismo-stratigrafia, i punti di energizzazione, detti punti di scoppio (shot points), vengono disposti simmetricamente rispetto al profilo: ai suoi estremi (end), esternamente (offset) ed a distanze variabili entro il profilo stesso (punti di scoppio centrali).
La profondità di investigazione è, in linea teorica direttamente correlata alla lunghezza del profilo, alla distanza degli offset e soprattutto al contrasto di velocità dei mezzi attraversati.
I tempi di arrivo delle onde sismiche nel terreno sono funzione della distanza tra i geofoni, delle caratteristiche meccaniche dei litotipi attraversati e della loro profondità.
La procedura d’elaborazione dati consiste di due fasi: la lettura dei tempi d’arrivo ai vari geofoni dello stendimento per ciascuna energizzazione effettuata e la loro successiva elaborazione mediante metodi di calcolo.
I tempi di primo arrivo delle onde sismiche vengono riportati su diagrammi spazio-tempo (dromocrone) nei quali l’asse dei tempi ha l’origine coincidente con l’istante in cui viene prodotta l’onda sismica (to), mentre nelle ascisse si hanno le distanze relative fra i geofoni dello stendimento. Tali diagrammi consentono di determinare, nei punti di flesso, le variazioni di velocità fra i vari strati attraversati dai raggi sismici e, tramite elaborazioni, le profondità a cui si verificano tali variazioni. In Tabella I sono riportate le relazioni tra le velocità medie delle onde sismiche di compressione P e di taglio SH (espresse in m/sec) e le principali litologie, desunte da letteratura.
Il procedimento di elaborazione dei tempi d’arrivo per ottenere le profondità dei rifrattori, utilizza più metodi: il Metodo del tempo di ritardo (delay time), il Metodo del tempo di intercetta ed il Metodo reciproco generalizzato (G.R.M.) proposto da Palmer (1980).
Il G.R.M. è un metodo interpretativo che si basa su tempi d’arrivo da energizzazioni coniugate, effettuate cioè da parti opposte del profilo sismico: tramite la determinazione di due funzioni (analisi della velocità e tempo-profondità) si determinano le velocità e quindi le profondità dei rifrattori individuati sulle dromocrone.
La funzione di analisi della velocità corrisponde al tempo necessario al raggio sismico a percorrere un tratto di lunghezza nota sul rifrattore (distanza intergeofonica), per cui la sua determinazione permette di ottenere una precisa stima della velocità delle onde sismiche nel rifrattore stesso. Tramite un procedimento di migrazione dei dati, sia la funzione tempo-profondità che quella di analisi della velocità vengono calcolate per distanze intergeofoniche crescenti (da 0 a multipli interi dell’equidistanza dei geofoni): viene scelta poi quella distanza per la quale le curve presentano il miglior andamento rettilineo.
I limiti del metodo a rifrazione risiedono nella impossibilità teorica di rilevare successioni stratigrafiche composte da strati a velocità decrescente con la profondità, in tal caso lo strato o gli strati non possono essere messi in evidenza dalle onde rifratte in quanto l’energia incidente, al contatto fra la sommità dello strato e la base dello strato sovrastante a più alta velocità, subisce una flessione verso il basso e non può venire di conseguenza rifratta; tale situazione è nota come “orizzonte nascosto”. Altra limitazione consiste nella presenza di uno strato a velocità intermedia ma di ridotto spessore; anche in questo caso l’orizzonte non produce alcun cambiamento di pendenza sulle dromocrone, e non è quindi sismicamente rilevabile. Ambedue le situazioni stratigrafiche portano a sovraestimare o sottostimare lo spessore delle coperture. Quando da altri rilievi si è a conoscenza della possibile presenza di orizzonti sismici nascosti è possibile, in fase di elaborazione dei dati con il metodo G.R.M., la verifica dello spessore di tali zone, poiché negli strati nascosti si ha sempre un aumento di velocità con la profondità, ma il loro spessore è sottile e/o il contrasto di velocità con lo strato sottostante è così piccolo, per cui i raggi sismici che partono da questi strati vengono oscurati dai raggi che partono dallo strato sottostante. Gli strati a bassa velocità presentano invece una velocità sismica minore rispetto allo strato sovrastante (inversione di velocità), per cui alla loro interfaccia non si verifica una rifrazione critica e così non vengono evidenziati sul grafico tempo-distanza. L’individuazione di eventuali strati nascosti e/o inversioni di velocità viene effettuata attraverso il confronto fra i valori delle funzioni tempo-velocità misurate e quelle ricalcolate in base al valore di XY utilizzata per l’elaborazione (Palmer 1980).